lunedì 15 gennaio 2018

Morto Stalin se ne fa un altro

Armando Iannucci

Stalin morì improvvisamente, a inizio marzo 1953, e i suoi cortigiani, fra cui Nikita Chruščëv, non ebbero il tempo di respirare di sollievo per essere scampati ai capricci del tiranno che già dovettero cominciare a tramare in una guerra sotterranea per conservare il potere – e probabilmente la vita.
Come potremmo definire in termini di genere il notevole Morto Stalin se ne fa un altro (The Death of Stalin) dello scozzese Armando Iannucci, che narra con forte vis satirica questa cupa vicenda? Non è propriamente una commedia perché non c'è una torsione comica del plot, al di là di pochi tratti personali; non è un dramma perché si ride di gusto, in mezzo all'orgia shakespeariana di complotti e di sangue.
E' un dramma storico – in cui i colori lividi e il carattere outré creano il sentimento del grottesco. E il denudamento impietoso della mediocrità umana (tutti questi dirigenti sovietici rappresentando diverse sfaccettature della bassezza) crea la classica condizione ironica propria della commedia: ovvero, il personaggio è più in basso dello spettatore. Impossibilitati all'empatia, se non nel senso assai generico per cui in ogni uomo si vede l'uomo, noi li guardiamo dall'alto come osserveremmo una lotta di formiche in un formicaio. Da ciò nasce un riso impietoso, che senza negarsi la consapevolezza della condizione umana mantiene un carattere di visione distaccata. Perché questi dirigenti sovietici sono “anime morte” consapevoli di esserlo; così è comprensibile la battuta di Chruščëv sulla religione: “Chi sano di mente vorrebbe una cazzo di vita eterna?”
Commedia grottesca” potrebbe dunque essere la risposta corretta al nostro interrogativo sulla definizione. Purché si abbia a mente che il grottesco qui non è solo dell'invenzione ma è elemento costituente dei fatti e dell'ambiente presi in esame.
Il fatto che nel film uno dei personaggi più divertenti, Molotov, sia interpretato da Michael Palin fa scoccare un inevitabile cortocircuito tra Morto Stalin... e il cinema di sublime ilarità e cattiveria dei Monty Python. E infatti l'URSS della fine del regno di Stalin e dei complotti per la successione è un mondo non solo crudele e perverso ma intrinsecamente folle: degno dei Monty Python appunto. O di Alfred Jarry: il gruppo dirigente comunista ben delineato nel film è un Ubu Roi collettivo. Il cuore dell'epoca culminante e finale del totalitarismo staliniano è (come per qualsiasi basso impero) la giostra di un clan di pagliacci sanguinari, che complottano sottovoce anche mentre reggono la bara al funerale. Più che deliziosi i loro riferimenti al cinema americano (battute che si vorrebbero citare tutte se non fosse peggio di uno spoiler), e sembrerebbe che questi assassini fossero tutto cinefili, anzi cinéphiles, linea Cahiers du Cinéma in anticipo: e quindi, registi e attori americani citati come miti incarnati. Storicamente, cinefilo a suo modo Stalin lo era; è vero il suo gusto per i western americani, e verissimo il suo piacere sadico di costringere i suoi sodali-servi a vederseli alle quattro di notte...
Continuamente contrapposta alla commedia dei dirigenti è la cieca ferocia della NKVD, la polizia segreta (“Spara prima a lei ma fa in modo che lui guardi”): è un mondo dove la folgore colpisce a caso. Solo il grande Otar Iosseliani ha mostrato così bene questo cuore di tenebra del comunismo, in Briganti. Indimenticabili le scene nella sede della NKVD, dove risuonano di continuo i “Viva Stalin!” seguiti da uno sparo (si usa sempre il termine fucilare, ma nell'URSS di Stalin il sistema di esecuzione era un colpo di pistola in testa).
Questa eccellente realizzazione drammaturgica si fonda su una messa in scena davvero di rilievo. Un solo difetto – ma è molto grave: le scritte in inglese su cartelli, segnali, corone funebri. Questa imperdonabile goffaggine rovina l'accuratezza di una messa in scena accurata, ed è come i leggendari orologi al polso dei legionari romani nei film peplum.
E si fonda, il film, su una serie di gustosissime interpretazioni. Steve Buscemi ruba la scena come Chruščëv, ma vanno menzionati almeno Simon Russell Beale, il terribile Berija, Jeffrey Tambor, l'aspirante erede Malenkov, e Jason Isaacs, uno Žukov poco somigliante ma delizioso.
Nel film, la storia della successione a Stalin e dell'eliminazione di Berija è concentrata sul piano temporale rispetto alla realtà storica: tutto si svolge in pochi giorni, laddove Stalin morì a inizio marzo e Berija fu eliminato in luglio. Ma un film non è un manuale di storia. Sul piano intellettuale, Malenkov non era stupido e ridicolo com'è qui ritratto; su quello personale, Molotov non era così sorridente e cordiale. A differenza che nel film, Molotov sapeva di essere nel mirino di Stalin, con Mikojan, da mesi: da quando il dittatore, a sorpresa, lo aveva attaccato violentemente alla prima riunione del nuovo Comitato Centrale nel 1952. Soprattutto, Berija, un mostro umano sadico e stupratore, perse il potere e la vita non solo perché i suoi compagni e complici lo temevano ma perché aveva avviato (ironia della storia!) una politica troppo riformista per i loro gusti.
La cosa divertente è che lo spettatore non esperto prenderà magari per realtà storica alcune semplificazioni satirico-letterarie (vedi sopra) e per invenzione satirica alcuni dettagli pazzeschi che invece sono pura verità. Cito solo Polina Molotova, la moglie di Molotov, fatta arrestare e torturare da Stalin, che appena liberata scoppia a piangere sentendo la notizia della sua morte; o i conati di vomito nel water di Chruščëv per la rabbia e la tensione delle serate con il tiranno (non era l'unico, racconta nelle sue memorie). Com'è autentica la storia di Stalin che giace morente nel suo piscio mentre i dirigenti sovietici si consultano su cosa fare.
Come ci ricordano le didascalie finali, in seguito le epurazioni continueranno, benché senza spargimento di sangue nel gruppo dirigente; e alla fine anche Chruščëv cadrà. Seduto dietro di lui a un concerto, nel finale del film, un giovane Brežnev lo guarda come il gatto guarda il topo.
Nei titoli di coda, si moltiplicano i visi cancellati; prima quelli degli epurati, com'era d'obbligo nell'universo sovietico, dove dalle foto svanivano certi visi, come fantasmi al contrario; e poi sempre più, finché non spariscono tutti, anche quelli delle persone nella folla con in mano la foto di Stalin e anche quello di Stalin stesso nella foto. Questa folla kafkiana di uomini senza volto è il lascito del film.

Nessun commento: